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Adiconsum su aumento IVA, tra Danno e Beffa

Adiconsum su aumento IVA, tra Danno e Beffa

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Adiconsum aveva ragione. Nemmeno 48 ore dopo l’aumento del punto percentuale dell’aliquota ordinaria dell’IVA, inizia la corsa al rincaro che include anche i beni esclusi dall’aumento, a dimostrazione di alcune falle strutturali nella Manovra chiamata a garantire i gettiti previsti dai suoi 171 decreti. Adiconsum: inficiare il potere d’acquisto del consumatore minaccia l’involuzione del Mercato dei Consumi con conseguenze deprecabili sull’economia italiana.

La posizione Adiconsum (Associazione Difesa Consumatori e Ambiente) dalle parole del suo Segretario Generale, Pietro Giordano: “L’aumento dell’Iva deciso dal Governo oltre che produrre effetti negativi sui consumi degli italiani, rischia di realizzare effetti perversi sui prezzi dei beni soprattutto di prima necessità. Così come avvenne in occasione del passaggio dalla Lira all’ Euro gli arrotondamenti a rialzo dei prezzi operati soprattutto dai commercianti sono un rischio più che concreto“. L’associazione utilizza l’esempio del passaggio dalla Lira all’ Euro per spiegare le possibili conseguenze degli arrotondamenti in risposta all’aumento dell’ IVA al 21%. “Adiconsum crede molto probabile che gli aumenti del punto percentuale dell’Iva producano un rincaro dei prezzi diffuso superiore al calcolo matematico dell’ aumento dell’Iva” – spiega Pietro Giordano – “Per fare solo un esempio, un abito del prezzo di 100,00 € non sarà esposto al prezzo di 101,00 €, ma molto probabilmente così come avvenne nel cambio tra Lira ed Euro lo stesso vestito verrà esposto a 105,00 – 110,00 € oppure con aumenti percentuali che vanno ben aldilà dell’ 1%“.

La Legge n.148 del 14 settembre 2011 con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, pubblicata in Gazzetta Ufficiale Serie Ordinaria n. 216 del 16 settembre 2011 e entrata in vigore il 17 Settembre 2011, riporta che l’imposta al 21% non coinvolge tutti i beni di consumo. “L’incremento dei prezzi a seguito dell’innalzamento dell’Iva” – chiarisce Giordano – “è un inganno che sfrutta l’ignoranza del consumatore sul meccanismo dell’IVA. Questa infatti viene sempre recuperata integralmente e non rappresenta mai un costo per professionisti e commercianti. Una volta incassato il corrispettivo dal consumatore, il venditore dovrà versare allo Stato solamente la differenza fra IVA pagata nelle proprie forniture ed IVA riscossa dal consumatore“.

Adiconsum
Scheda IVA
estratto

Beni e servizi con IVA al 4% (nessun aumento previsto)

  • Latte, burro, formaggi e latticini
  • Ortofrutta
  • Farina, riso, pasta, pane, crackers e prodotti da forno
  • Olio
  • Giornali quotidiani e periodici (esclusa pornografia)
  • Case di abitazione non di lusso incluse assegnazioni di cooperative
  • Apparecchi ortopedici, protesi dentarie, occhiali da vista
  • Prestazioni socio-sanitarie ed educative (scuole, asili, ricoveri in istituti di cura, esenti invece le prestazioni mediche)
  • Servizi di mensa collettiva in scuole, ospedali, caserme e distributori automatici di cibi e bevande nei luoghi pubblici
  • Gas (per i primi 480 mc/anno di consumo)

Beni e servizi con IVA al 10% (nessun aumento previsto)

  • Carne, pesce (escluso il salmone e lo storione)
  • Yogurth, latte a lunga conservazione
  • Uova
  • Miele
  • Spezie
  • Margarina
  • Cacao, cioccolato, corn flave
  • Conserve vegetali (confetture, sottaceti e sottoli, frutta candita e sciroppata)
  • Birra e acqua minerale
  • fornitura di acqua potabile domestica
  • tabacchi non lavorati
  • Elettricità
  • Medicinali umani e veterinari
  • Somministrazione di alimenti e bevande (bar, ristoranti)
  • Prestazione di servizi nelle strutture ricettive (alberghi ecc.)
  • Teatri, concerti, circo ecc.
  • Canone Rai
  • Servizi di trasporto pubblico

La notizia Adiconsum fa appena in tempo ad essere divulgata che già vengono denunciati i primi rincari dei prezzi su quei prodotti di consumo che avrebbero dovuto essere congelati. Il passaparola di Facebook e Twitter unito alle mail inviate alle redazioni dei quotidiani e all’interesse attivo di giornalisti come Attilio Geroni con il suo Mr. Prezzi, il Cappuccino? pubblicato nel numero 255 de Il Sole 24 Ore (domenica 18 settembre 2011), indicano come reale il pericolo segnalato da Pietro Giordano. Gli effetti minacciati da una Manovra che non tutela il potere d’acquisto dei singoli, denuncia Adiconsum, sono “ulteriormente depressivi perché colpendo i consumi e non pianificando investimenti, impedirebbero lo slancio necessario all’economia per produrre di più e al mercato del lavoro per aumentare l’occupazione“.

[ N.d.R. ]

Un esempio per chiarire come la scusa dell’aumento dell’ IVA al 21% non giustifica il rincaro di cappuccino e brioches. L’esempio è volutamente semplificato per evidenziare il meccanismo base e quindi non considera l’interazione di beni/servizi che entrano in gioco nella quotidiana gestione di un esercizio commerciale.

Un Bar consuma ogni giorno circa 10 chili di Caffé.
Lo stesso Bar vende 600 tazzine di caffé al giorno.
Il prezzo di una tazzina di caffé è di 80 centesimi..
senza contare cappuccini e varianti.

Il proprietario del Bar fino a ieri acquistava un chilo di Caffé a 20 euro + IVA 20%.
Il prodotto Caffé non è tra i beni considerati di prima necessità.
Totale spesa: 200 euro + IVA 20% (40 euro).
Entrate dalla vendita di caffé: 480 euro inclusi i 43,63 euro d’IVA al 10%.

La vendita di una tazzina di caffé avviene con aliquota al 10%. Questo significa che in quegli 80 centesimi è inclusa anche l’aliquota in questione che grava sul consumatore (tu che vuoi un caffé).

Oggi il proprietario del Bar acquista un chilo di Caffé a 20 euro + IVA 21%.
Il Bar mantiene invariato il prezzo di vendita.
Totale spesa: 200 euro + IVA 21% (42 euro).

Per ogni tazzina di caffé venduta il proprietario del Bar deve versare all’erario l’IVA calcolata sulla differenza tra iva a debito (43,62 euro) e iva a credito (42 euro sulla fornitura) e . Fino a “ieri” il commerciante avrebbe dovuto versare (in “area” Caffé) la differenza tra i soliti 43,62 e i 40 euro d’IVA al 20% del suo credito sulla fornitura.

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