Scrittore, copywriter, autore di Ogni corsa è un viaggio, Stefano Pampuro aggiunge spessore e competenza all’Intruder 2.0 nel suo ideale di approfondire argomenti andando oltre le “copertine”. Qui, in particolare, si parla di esperienze solidali sottese a iniziative sportive. L’intervista che segue racconta il percorso esperienziale vissuto da Stefano durante il suo viaggio nella culla del running tra gli altopiani del Kenya e dell’Etiopia, fondamenta del suo secondo libro Oltre il Confine ma non solo… perché l’intervista stessa è l’incipit di una storia che contiene tante altre storie, che non può essere tenuta a freno da regione e confini propri di questo spazio. Storie che saranno approfondite.
Il 12 febbraio 2020, Il Secolo XIX pubblica il reportage di Stefano Il sogno dei maratoneti keniani «Corriamo per una fattoria» da cui l’incipit iniziale e il PDF a seguire: “Nel 2019 sono state corse solo in Europa 193 maratone e 264 mezze maratone. In Italia i podisti che hanno completato una 42 km sono stati 52.037. Un business che muove milioni di euro risvegliando l’interesse di sponsor e aziende, e naturalmente anche dei corridori africani, che da anni dominano tutte le gare. Anche le maratone medio-piccole acquistano prestigio se riescono ad assicurarsi i migliori atleti e crono importanti, e per riuscirci si rivolgono soprattutto al Kenya e all’Etiopia. Questo spicchio di Africa orientale è un’autentica miniera d’oro, che viene sfruttata dagli europei ma porta benefici anche agli atleti africani: vincere una maratona significa veder svoltare la carriera, e dare un aiuto economico importante alla propria famiglia o a un intero villaggio. Qui in Kenya la corsa non è un hobby: chi non ha le carte in regola per emergere lascia subito perdere e si dedica ad altro. Chi invece ha vero talento ci prova. Anche una modesta corsa regionale in Veneto, in Sassonia o tra le campagne dello Yorkshire può assicurare al vincitore qualche centinaio di euro, e in questo Paese si tratta di cifre importanti…”
Poi accadde che “lo scoppio della pandemia ha stravolto tutto, spingendomi a restare in Etiopia a oltranza pur di portare avanti il progetto” in una regione, e in particolare in una località piena di contraddizioni: un angolo rurale “e il suo triste degrado, dove l’isolamento e la costante minaccia della diffusione del virus diventano le assolute protagoniste insieme all’amicizia con alcuni ragazzi di Bekoji.“
La prima domanda - per quanto generica possa apparire - è forse la più difficile, sebbene si gioca il primato con l'ultima: mi racconti della tua passione per la corsa?
La passione per la corsa ce l’ho sempre avuta, fin da piccolo. Quando avevo sette anni chiedevo a mio papà di portarmi a correre con lui le rare volte che usciva a fare una corsetta e da lì non ho più smesso. Correre all’inizio mi piaceva e basta, non mi facevo troppe domande, poi con il tempo mi sono dato diverse risposte. Mi fa sentire bene di testa (la corsa aiuta a produrre seratonina e dopamina, sostanze che conferiscono una forte sensazione di piacere). Diciamo che è una medicina naturale che ho contro il cattivo umore di cui soffro. Poi c’è l’aspetto introspettivo, nel senso che correre mi aiuta a conoscermi meglio, dandomi un’impostazione, un’identità.
Senza pensare: le prime tre parole che ti vengono in mente alla domanda "cos'è per te lo sport?"
Senza pensarci su, ti dico: aggregazione, salute, miglioramento.
E prendendoti il tempo che serve, una parola alla volta: che significato gli attribuisci?
- Aggregazione nel senso che permette di condividere una passione con altre persone con cui magari non avresti null’altro in comune. Crea un forte legame sociale, un’intesa.
- Salute nel senso che lo sport si pratica sempre in una cornice di fatica e sudore che forgia il nostro corpo facendoci stare meglio (anche di testa, soprattutto).
- E miglioramento perché a qualunque livello lo si svolga, lo sport è sempre uno strumento per misurare chi siamo e quanto valiamo e migliorare noi stessi.
Quando la Corsa trascende lo sport e diventa... cosa?
Per noi occidentali, soprattutto gli amatori che non vivono di corsa, questo sport ha un significato diverso rispetto al valore che ci danno in Kenya o in Etiopia. A dire il vero ho provato a capire se a questi atleti piacesse correre o se lo facessero solo per ricavarne un guadagno, ma non sono mai riuscito a capirlo davvero. Bisogna sempre prendere con le molle quello che ti dicono. Alla fine ciascuno di noi assegna un ruolo diverso allo sport. Ad esempio, parlando di ruoli e scopi dello sport, durante la mia permanenza in Kenya parlando con un mio amico dei tempi del liceo, sportivo pure lui, nasce l’idea di GrowSport. L’idea di condividere le esperienze di studio e di sport fuori porta ci è sembrata da subito un’idea bella e sana da poter lanciare con questo progetto. L’idea è in fase di sviluppo e te la posso riassumere nei suoi elementi costituenti: borse di studio sportive per università negli Stati Uniti; Summer camp a Barcellona per studiare e fare sport due settimane durante l’estate; un’esperienza in Kenya all’insegna della corsa con i migliori corridori del posto.
Viaggiando alla scoperta dei paesi troverai il continente in te stesso.
– Proverbio indiano
Senti tua questa citazione? Se si, quanto e perché, altrimenti quale citazione secondo te si avvicina di più alla tuo significato di Viaggio?
Assolutamente si, mi pare una citazione che calza a pennello con la mia filosofia di vita. Amo viaggiare, scoprire, conoscere, e credo che questo aspetto sia legato alla curiosità, al desiderio di capire. Sono sempre alla ricerca di alcune risposte, che risposte^… Bella domanda, non lo so nemmeno io, ma so che c’è qualcosa da cercare. Il viaggio è un po’ questa metafora della vita, la ricerca in un luogo geografico, ma allo stesso tempo dentro di noi..
"Ogni corsa è un viaggio - storia di una generazione che ha dominato la maratona": quando ha iniziato a maturare l'idea del viaggio in Spagna?
Nel Natale del 2015 un collega di lavoro mi regalò un libro su alcuni sportivi spagnoli che mi diede l’ispirazione per scrivere qualcosa sui maratoneti azzurri. Dopo aver provato a contattarne sette, senza successo, decisi di rivolgermi a quelli spagnoli, e da lì presi a organizzare gli incontri (sette in tutto, in giro per la Spagna).
Dalla Spagna al viaggio in Africa. Kenya. Etiopia. Dalla culla del running sugli altopiani a Bekoji. E poi la pandemia: Stefano resta in Etiopia a oltranza, citandolo, “pur di portare avanti il progetto“. Inizia un viaggio nel viaggio praticamente, perché penso che un conto sia restare in un luogo per un periodo programmato e un altro sia vivere una regione in un contesto inatteso: agenda ribaltata e nessuna data di scadenza certa.
Cosa ha rappresentato per te quel periodo, quanto ti ha lasciato dentro e qual'è la prima cosa che ricordi con piacere pensando a quei momenti?
Era da quasi un anno che stavo progettando la mia esperienza in Africa, e non sarei stato capace di accettare di vedermela sfumare via per colpa di un imprevisto tanto assurdo. Ogni tanto prendo le difficoltà come questioni di principio e vado fino in fondo, come in questo caso appunto. All’inizio la mia idea era passare due mesi in Kenya e un mese in Etiopia, alla fine i mesi in Etiopia sono stati tre. Non sapevo con esattezza quanto mi sarei fermato a Bekoji, vivevo un po’ alla giornata e devo dire che ho vissuto questa situazione tra alti e bassi. In certi momenti ero quasi contento di essere laggiù, lontano dalle preoccupazioni mondane occidentali, altre volte al contrario mi sentivo letteralmente in prigione. Ho attraversato molti momenti difficili durante i tre mesi in Etiopia. Sono stato insultato, preso a pietrate, non avevo acqua calda, e il cibo era molto limitato.

Quei cinque mesi sono una delle cose più preziose della mia vita perché rappresentano la culminazione di un progetto di vita a cui tenevo moltissimo. Aver superato tanti momenti difficili in un contesto così diverso dal mio è stata una grande sfida che mi ha lasciato una grande esperienza. Ripenso spesso a quei giorni, e lo faccio sempre con il sorriso. Sono stati momenti forse banali da raccontare ma che mi hanno lasciato un ricordo inestimabile nella memoria. Ripenso per esempio a quando visitai la scuola elementare a Nangoi, o alle ripetute nella pista di Kapsabet. Penso alle chiacchierate in stanza con Martin, prima di spegnere la luce, o al viaggio incredibile fino a Lalibela insieme a Dawid. Ma sono solo alcuni dei ricordi, ce ne sono tantissimi altri. Più che altro sono suggestioni, emozioni astratte.
"Sono stato insultato, preso a pietrate, non avevo acqua calda e il cibo era molto limitato". Ti va di parlarne? E a proposito delle reazioni, cosa ti ha colpito? Te le aspettavi?
Quella situazione me l’aspettavo, quello che non avevo previsto era il Covid. In una situazione di paura come la pandemia, un bianco in un villaggio africano non poteva essere visto altrimenti. Non farò mai una colpa a quelle persone per come mi hanno trattato, perché loro a parti invertite, in Italia, non se la sarebbero passata meglio. Però i black out di corrente continui e le docce fredde non li ho mai accettati. Nel senso che li ho subiti, quello si, non avevo scelta, ma ho sempre condannato la loro mentalità arrendevole, legata certamente alla loro religione, dove si accetta ogni disgrazia di buon grado, come decisa dal cielo. Quindi, ingoiavo sempre, ma mi dava fastidio la mentalità che c’era dietro.
"Ripenso per esempio a quando visitai la scuola elementare a Nangoi" - che effetto ti fece, cosa ti aspettavi e cosa ti ha piacevolmente colpito?
Della scuola di Nangoi rimasi sorpreso dall’educazione e dalla disciplina dei bambini. Se abitassi in Kenya e fossi genitore, non avrei nessun problema a far studiare mio figlio in una scuola di legno con il pavimento di terra.
"Il viaggio incredibile fino a Lalibela", qual è stato l'aspetto più incredibile di quel viaggio? Parliamo sempre di sensazioni, se vuoi.
Il viaggio di Lalibela è stata una delle esperienze più emozionanti della mia vita, e lo dico senza esagerare. Aver attraversato quel paese con un autobus scassato, per strade statali sterrate mi ha permesso di vedere con i miei occhi una realtà così diversa dalla mia. Ma averlo condiviso con Dawid è stato il vero valore aggiunto. Quindici anni ci dividevano, eppure eravamo più uniti che mai.
Il sogno dei maratoneti keniani: corriamo per una fattoria... a proposito di sogni... tu ne hai realizzato uno proprio in Etiopia: crowdfunding per Dawid. La domanda è semplice: perché?
Non c’è un perché, sentivo che aiutare quel ragazzo era la cosa giusta da fare, non ci sono stato troppo a pensare. Più che altro volevo capire come, e soprattutto se ci sarei/saremmo riusciti. Alla fine per fortuna ce l’abbiamo fatta, è andata bene. Sono molto orgoglioso di quello che siamo riusciti a mettere in piedi da zero, molte persone hanno dato un contributo importante, senza di loro non sarebbe potuto esserci il negozio di Dawid.