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Libia: una benda per non vedere?

#NonPoteteNonGuardare e #NienteAccordiConLaLibia sono gli hashtag che accompagnano l'evento in programma il 14 luglio 2021 a Roma, davanti Montecitorio, alla vigilia del rinnovo dei finanziamenti alla Libia nel quadro delle missioni internazionali che coinvolgono l'Italia, dopo l'audizione alle commissione congiunte Esteri e Difesa di Camera e Senato di ActionAid, Amnesty International e Medici Senza Frontiere per i gravi profili di criticità riscontrati nel Decreto Missioni. Organizzazioni e associazioni umanitarie, riunite, chiedono "l'evacuazione delle persone rinchiuse nei centri di detenzione libici, l'estensione dei canali di ingresso regolari per persone migranti e rifugiate, il ripristino di un sistema istituzionale di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale e il riconoscimento del ruolo essenziale svolto dalle ong per la salvaguardia della vita in mare".

Libia: una benda per non vedere?

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Organizzato da Amnesty International Italia, Arci nazionale, Baobab Experience, Emergency, Medici Senza Frontiere, Medici Senza Frontiere – Gruppo di Roma, Mediterranea Saving Humans, Oxfam Italia, SOS Mediterranee, Open Arms, Per Cambiare L’Ordine delle Cose – Forum nazionale, Un Ponte Per e Zlab, con l’endorsment di ActionAid e Human Rights Watch e con l’adesione di Alarm Phone, Associazione per gli Studi GIuridici sull’Immigrazione, ResQ, Sea-Watch e Watch The Med, Libia: una benda per non vedere è l’ultimo appello al governo italiano per una rivalutazione degli accordi con la Libia e del riconoscimento del ruolo delle Organizzazioni non governative nel supporto alle operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale, così come in essere dagli accordi Stato / Ong del 2017, dal 2019 in coordinazione con il Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera ecostiera, che tra le sue priorità include il “fornire assistenza tecnica e operativa a sostegno delle operazioni di ricerca e soccorso in mare di persone in pericolo; nonché organizzare, coordinare e svolgere operazioni e interventi di rimpatrio“.

facebook: https://www.facebook.com/events/975340489889972



In occasione della votazione in Parlamento per il rinnovo delle missioni internazionali, torniamo in piazza per denunciare la responsabilità delle autorità italiane per le continue stragi di persone migranti nel Mediterraneo centrale e il ciclo di violenze, sfruttamento e violazioni dei diritti umani a cui sono sistematicamente sottoposti migranti e rifugiati in Libia.

Insieme a tante realtà della società civile e decine di migliaia di cittadine e cittadini, diciamo:


NO al rinnovo della missione in Libia e alla prosecuzione della cooperazione con le autorità libiche senza garanzie concrete sulla protezione dei diritti umani di persone migranti e rifugiate;

NO al sostegno e alla collaborazione con la "Guardia costiera libica" finalizzato al respingimento forzato in Libia delle persone intercettate in mare;

SI all'evacuazione immediata delle persone rinchiuse nei centri di detenzione libici e all’estensione dei canali di ingresso regolari per persone migranti e rifugiate;

SI al ripristino di un sistema istituzionale di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale e al riconoscimento del ruolo essenziale svolto dalle ONG per la salvaguardia della vita in mare.

Non chiudiamo gli occhi di fronte alle barbarie.

PARTECIPA
il 14 luglio alle ore 17, vieni al presidio di fronte al Parlamento (Piazza Montecitorio) a Roma. Porta con te una benda bianca per coprirti simbolicamente gli occhi (proprio come sta facendo il governo italiano).

ORGANIZZA
un presidio anche nella tua città, di fronte alla Prefettura se possibile, alla stessa ora e con le stesse modalità dell’iniziativa di Roma. Inviaci tutte le info su unabendapernonvedere@gmail.com

AGISCI
pubblica una tua foto con gli occhi coperti con una benda bianca usando gli hashtag #NonPoteteNonGuardare e #NienteAccordiConLaLibia

ADERISCI
e fai aderire. Manda una mail con il nome della tua associazione a unabendapernonvedere@gmail.com

LEGGI
approfondisci, studia, non fermarti alla superficie delle cose, fai emergere la verità. Non chiudere gli occhi. Non permettere che nessuno finga di non vedere.

Nel rispetto della normativa anticovid ma soprattutto a favore della responsabilità sociale di cui siamo protagonisti, vi raccomandiamo di indossare la mascherina durante i presìdi e di mantenere il distanziamento fisico, ma... non quello sociale.

Il 7 luglio Action Aid International, Amnesty International e Medici Senza Frontiere in audizione alle commissioni congiunte esteri e difesa di Camera e Senato evidenziano gravi i profili di criticità nel Decreto Missioni varato dal governo, “che conferma per il quinto anno consecutivo il supporto alla Guardia Costiera Libica e all’Amministrazione Generale per la Sicurezza Costiera“, presentando a deputati e senatori la memoria ITALIA-LIBIA: PER UNA COOPERAZIONE BASATA SUL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI firmata anche da Human Rights Watch.

Nei primi mesi del 2021, il numero di migranti, richiedenti asilo e rifugiati detenuti arbitrariamente nei centri di detenzione ufficiali -spesso solo nominalmente sotto il controllo delle autorità - è aumentato costantemente, superando quota 5.000 a fine maggio; all’inizio dell’anno, erano meno di 2.000. Questo aumento è direttamente correlato al picco delle intercettazioni in mare da parte della Guardia Costiera Libica, che ha interessato quasi 15mila persone in soli 6 mesi (a fronte di 11,891 in tutto il 2020), e al conseguente aumento di trasferimenti alle strutture di detenzione dai siti di sbarco. Per rispondere all’aumento di migranti riportati indietro dalla Guardia Costiera Libica, il Ministero dell’Interno ha aperto o riaperto luoghi di detenzione aggiuntivi, dove le persone continuano a subire le stesse violazioni di diritti umani registrate in passato: sono trattenute per un periodo di tempo indefinito, senza giustificazione legale e senza accesso a vie di ricorso, e riescono ad uscire solo pagando un riscatto alle guardie o assumendo rischi enormi, per esempio in un tentativo di fuga o accettando il ritorno al proprio paese di origine, attraverso i c.d. rimpatri volontari umanitari offerti dall'OIM, a prescindere dai pericoli che persone eventualmente bisognose di protezione potrebbero affrontare al loro ritorno. Questi rimpatri non si possono considerare volontari poiché la "scelta" tra la continuazione della detenzione arbitraria in condizioni inumane e degradanti e il rimpatrio in un luogo dove si potrebbe temere la persecuzione o altri danni gravi non fornisce ai detenuti alcuna opzione praticabile.

Torture e maltrattamenti, fisici e verbali, continuano ad essere segnalati dalle persone trattenute in diversi centri di detenzione. Ad aprile, un ragazzo è morto e diverse altre persone sono state ferite a seguito di una sparatoria nel centro di detenzione di Al-Mabani dove a febbraio erano stati trasferiti molti migranti riportati in Libia dalla Guardia Costiera. Il Centro aveva registrato un aumento della popolazione detenuta da 300 a oltre 1.000 in pochi giorni, ed è poi stato usato per trattenere persone sbarcate in Libia anche nei mesi successivi. Il 13 giugno, durante un tentativo di fuga dal centro di detenzione Abu Salim, le guardie avrebbero sparato con armi automatiche contro numerosi rifugiati e migranti, ferendone diversi, forse anche mortalmente, secondo testimonianze raccolte. A giugno, l’ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani dell’ONU ha denunciato ripetute violenze sessuali, comprese contro minorenni, nel centro di Shara al-Zawiya, struttura dedicata a donne e bambini. A seguito di ripetuti episodi di violenza contro migranti e rifugiati, a giugno Medici Senza Frontiere ha annunciato la sospensione delle attività nei centri di detenzione di Al-Mabani e Abu Salim a Tripoli.
Nei centri di detenzione non ufficiali, gestiti da reti dedite alla tratta di persone e da milizie e gruppi armati locali, sembra che le condizioni siano orribili. Numerose testimonianze di sopravvissuti raccontano di torture e violenze al fine di estorsione, inflitte su rifugiati e migranti per mesi fintanto che le famiglie non sono in condizione di mandare i soldi del riscatto. Il numero di rifugiati e migranti intrappolati in questi centri non è disponibile, ma è probabile che siano molti di più di quelli trattenuti nei centri ufficiali.
A partire dal 2015, L’Italia ha giocato un ruolo fondamentale nel quadro della strategia di esternalizzazione delle frontiere. Dell’1 miliardo e 337 milioni di euro speso per l’azione esterna sulle migrazioni 5,791.58 milioni di euro, ossia il 59,2%, sono state risorse stanziate direttamente dal nostro Paese, mentre per 545.54 milioni di euro, ovvero il 40,8%, si è trattato di risorse europee gestite dall’Italia. Il capitolo di spesa più sostanzioso è quello relativo al controllo dei confini, che rappresenta il 49,83% della spesa totale, ovvero 666.314 milioni di euro. Si tratta di risorse significative, che appaiono estremamente disorganiche, stanziate mediante una governance frammentata e soggetta a forte condizionamento politico, poco trasparente, senza una chiara programmazione ed obiettivi, se non quelli generali di contenimento e repressione dei movimenti migratori. La Libia è stato il principale beneficiario di questa spesa: 210 milioni di euro sono stati stanziati per progetti nel paese, di cui il 44% destinato a progetti focalizzati sul rafforzamento del controllo dei confini, comprese le già menzionate attività di rafforzamento delle capacità operative delle forze navali e autorità marittime libiche. Si tratta di ingenti risorse economiche, tecniche e umane impiegate per attività quali:
  • approvvigionamento e manutenzione di motovedette; attività di formazione;
  • assistenza nella dichiarazione di una Zona SAR Libica;
  • assistenza nel coordinamento delle operazioni in mare, anche mediante l’impiego di una nave della Marina Militare Italiana permanentemente ormeggiata nel porto di Tripoli.
Nel quadro dell’accordo politico espresso nel Memorandum d’Intesa tra Italia e Libia, programmi specifici di cooperazione sono stati posti in essere con diversi strumenti, quali ad esempio il decreto legislativo n. 84/2018, che ha previsto la cessione a titolo gratuito di 12 unità navali per incrementare la capacità operativa della Guardia costiera del Ministero della difesa e degli organi per la sicurezza costiera del Ministero dell'interno libici nelle attività di controllo delle frontiere marittime e il Decreto Missioni Internazionali che negli ultimi quattro anni ha sempre previsto il finanziamento di iniziative quali la Missione bilaterale di assistenza alla Guardia costiera (10.050.160 di euro nel 2020) e la Missione Bilaterale di assistenza e supporto in Libia (MIBIL) (47.856.596 di euro nel 2020)

Dal 2017 il governo libico ha puntualmente disatteso il permesso di entrata alle Ong nei centri di detenzione ufficiali e ufficiosi, se non in rare eccezioni. Il problema di fondo: un Paese in guerra difficilmente permette l’accesso alle sue prigioni. Alcuni centri vennero evacuati, altri chiusero, altri ancora vennero interdetti. Il personale umanitario non era sufficientemente protetto. Alcune ong iniziarono a ritirare i loro operatori. Altre si distribuirono per dare assistenza alla popolazione locale in presidi ambulatoriali. Altre investirono sul remoto. Vennero fatti investimenti sulle strutture libiche per i libici allo scopo di avere accesso ai centri. L’obiettivo della coalizione era quello di eliminare la minaccia Isis dalla Libia (presente dal 2014) per poter procedere alla pacificazione del terriotorio necessaria per la messa in sicurezza dei siti energetici. Perché questo fosse possibile era necessario appoggiare concretamente il Governo di Riconciliazione Nazionale della Libia (Governo di Accordo Nazionale) di Fāyez Muṣṭafā al-Sarrāj.

Il 2 febbraio 2017 venne firmato il Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana. Il focus dell’intesa riguardava il controllo dei flussi migratori verso l’Europa in un periodo segnato dalla piaga del terrorismo islamico. In piena seconda guerra civile, i porti e le coste della Libia erano fuori controllo. L’Italia s’impegnava a fornire aiuti e risorse al governo libico e la Libia a migliorare le condizioni dei centri di accoglienza e controllo per i migranti.

Il 13 aprile 2017, l’Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo (AICS) diffuse il bando del Programma di emergenza in Libia per il miglioramento dei servizi sanitari e la protezione dei gruppi vulnerabili: “L’obiettivo generale del presente bando è quello di migliorare le condizioni di vita della popolazione più vulnerabile attraverso un migliore accesso ai servizi di base, tra cui, in particolare quelli sanitari e di protezione della popolazione colpita dalla crisi. L’obiettivo specifico è dunque di contribuire a rafforzare la capacità di resilienza e a migliorare le condizioni di salute delle fasce più vulnerabili tra la popolazione locale ospitante e rifugiata in Libia, attraverso un migliore e più facile accesso, a strutture sanitarie primarie e a servizi di protezione“.

Nelle intenzioni dell’AICS, ricorda l’articolo di Internazionale del luglio 2020, c’era il permettere alle ong italiane di entrare nei centri di detenzione libici per garantire gli standard umanitari minimi in un sistema detentivo segnato da sistematici abusi; il sistema allora (e in seguito) venne definito dall’Onu “troppo compromesso per essere aggiustato” e il bando venne criticato “per la vicinanza temporale con gli accordi Italia-Libia del febbraio 2017” che avrebbe reso problematica la messa in atto di qualsiasi rettifica. La Libia nel 2017 era una nazione sprofondata nel caos.

“La rotta del Mediterraneo centrale resta quindi un importante percorso per i richiedenti asilo, ma si attesta anche come un’importante rotta per quanti non sono necessariamente rifugiati ma migranti che si sono spostati verso la Libia per varie ragioni socio-economiche. Non trovando condizioni di vita o di lavoro sicure, si trovano costretti a continuare la loro migrazione verso l’Europa: una migrazione irregolare, pericolosa, gestita da trafficanti. Dai racconti dei migranti emerge l’immagine di una Libia sprofondata nel caos, dove violenze e abusi sono sempre più frequenti e gruppi armati trovano nel traffico di esseri umani una fonte di finanziamento estremamente redditizia” – riporta l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM , OIM) in La tratta degli esseri umani lungo la rotta del Mediterraneo centrale. – Con gli occhi delle migrazioni

Il 23 ottobre 2017 il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale firmal’approvazione dell’iniziativa di emergenza da attuare in Libia, di durata 15 mesi, denominata ‘Iniziativa di emergenza a favore della popolazione dei centri migranti e rifugiati di Tarek al Sika, Tarek al Matar e Tajoura in Libia’“.

Nemmeno il tempo di iniziare, per le Ong, e nel settembre 2018 venne evacuato il centro di Tarek al Matar. “La situazione in Libia? “Estremamente tesa. Questa settimana avevamo in programma una missione all’interno dei centri detenzione migranti nei quali operiamo dall’inizio dell’anno, ma siamo stati costretti ad annullare il nostro viaggio.” – riportava Vita.it dando spazio a Helpcode Italia, fino al 2017 operativa in Libia con l’ong Staco, e dal gennaio 2018 presente sul territorio grazie al bando AICS assieme a CEFA, Emergenza Sorrisi, ESVI, Terre des Hommes – “Accanto al dramma degli almeno 50 morti e di una città allo sbando a causa degli scontri in atto nella capitale dallo scorso fine settimana tra milizie rivali e l’ente governativo riconducibile al presidente Al Serraj – interlocutore per l’Onu e la stessa Italia, che di recente aveva rinnovato la partnership donando ulteriori motovedette alla Guardia costiera di Tripoli – c’è il dramma nel dramma delle condizioni dei migranti, molti dei quali erano ritornati nei centri ufficiali dopo essere stati respinti in mare dalla Guardia costiera libica e prima ancora avere passato mesi di reclusione e violenze nei centri illegali in mano ai trafficanti“.

Con nuove e riorganizzate competenze in campo, unitamente al deterrente dei centri di detenzione, “nei primi quattro mesi del 2018 sono sbarcati in Italia circa 9.300 migranti, il 75% in meno rispetto allo stesso periodo del 2017. Si tratta di un trend del tutto in linea con il calo verificatosi negli ultimi sei mesi del 2017 (-75% rispetto allo stesso periodo del 2016)” – riportava il Fact Checking: migrazioni 2018 IPSI di Elena Corradi, Matteo Villa e Antonio Villafranca, considerando le politiche messe in atto sulla rotta i cui effetti si manifestarono dal 15 luglio 2017 “nel periodo dell’anno in cui solitamente si registrano più arrivi, è iniziato il calo degli sbarchi che prosegue a tutt’oggi“. Pur diminuendo il carico migratorio verso l’Italia, la situazione lungo le coste africane, considerata anche la recessione in Tunisia, era tutt’altro che migliorata: “Per avere un termine di paragone, nel mese di luglio gli arrivi di migranti e rifugiati in Italia sono quasi dimezzati rispetto allo stesso mese 2016 (11461 e 23552) mentre in Spagna gli sbarchi sono più che triplicati (2657 a fronte dei 775 nel luglio 2016). Non così in agosto che quest’anno conferma lo stesso numero (circa 1500) di quello dell’anno passato“. Il sostegno al governo di al-Sarrāj non risolveva il problema dei flussi migratori se non a livello locale e il conflitto in Libia alimentava caos su tutta la regione.

Il 13 settembre 2018 Italia e Tunisia firmarono l’accordo per il progetto Elmed, con cui l’Unione europea si impegnava a coprire metà dei 600 milioni di euro stimati per la realizzazione, con il restante 50% coperto da partenariati pubbici e privati. Dall’autunno dello stesso anno la Tunisia subì un incremento esponenziale di attacchi terroristici. Al primo maggio 2019 la situazione era affatto risolta: con 500 km di confine in comunione con la Libia, il governo di Tunisi insisteva per una soluzione politica e un rafforzato approccio diplomatico perché “la sicurezza libica è la sicurezza tunisina“.

Il 14 novembre 2019 viene pubblicato il Regolamento Ue 2019/1896 del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 novembre 2019 relativo alla Guardia di Frontiera e Costiera europea. Tra le considerazioni preliminari:

L'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea è stata rinominata «Agenzia europea della guardia di frontiera ecostiera» («Agenzia»), comunemente nota come Frontex, e i suoi compiti sono stati ampliati, conpiena continuità di tutte le sue attività e procedure. Il ruolo principale dell'Agenzia dovrebbe essere quello di: definire una strategia tecnica e operativa nell'ambito dell'attuazione del ciclo politicostrategico pluriennale per la gestione europea integrata delle frontiere; sovrintendere all'efficace funzionamento del controllo di frontiera alle frontiere esterne; effettuare analisi dei rischi e valutazioni delle vulnerabilità; fornire maggiore assistenza tecnica e operativa agli Stati membri e ai paesi terzi tramite operazioni congiunte e interventi rapidi alle frontiere; garantire l'esecuzione pratica delle misurein situazioni che richiedono un'azione urgente alle frontiere esterne; fornire assistenza tecnica e operativa a sostegno delle operazioni di ricerca e soccorso in mare di persone in pericolo; nonché organizzare, coordinare e svolgere operazioni e interventi di rimpatrio.

La Libia nel capodanno 2020 era un Paese devastato dalla guerra civile, con disservizi dovute all’assenza di manutenzione, infrastrutture rovinate, mancanza di medicine e di macchinari sanitari, poche possibilità di accesso ai presidi medici anche ambulatoriali. Il 2020 fu l’anno nero per le Ong che finirono sotto il fuoco incrociato dei media, a volte per l’estrapolazione avventata di argomentazioni che non potevano esaurirsi nello spazio di una manciata di colonne, altre a ragione dando risalto al lavoro delle procure impegnate nel contrastare la speculazione dei flussi migratori sul Mediterraneo.

Approssimativa rendicontazione e scarsa trasparenza delle ONG. I rendiconti contabili e finanziari che l’AICS ha trasmesso (oscurando i nomi dei partner libici o l’ammontare del budget per alcune voci di spesa tra cui compensi personale), sono in alcuni casi “voci di spesa generiche, approssimative e talora di importi identici ed arrotondati”, scrive ASGI” – così La Repubblica, in Libia, migranti e profughi: ecco dove vanno a finire i fondi della Cooperazione italiana del 23 luglio 2020 – “La ONG Helpcode, per esempio, nel rendiconto finale del progetto “Intervento di prima emergenza con tecnologia innovativa per migliorare le condizioni igienico-sanitarie nei centri migranti e rifugiati a Tripoli”, di importo pari a 662.108,00 euro, indica per l’attività riabilitazioni idriche tre unità – presumibilmente una per ciascun centro interessato dagli interventi – di costo unitario stranamente identico tra loro (16.000 euro)“. Incalzava ancora La Repubblica: “Nonostante le numerose richieste inviate all’Autorità responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza del MAECI (Ministero degli Esteri); l’Agenzia italiana per la Cooperazione allo sviluppo ha sempre negato il diritto di accesso ai testi dei progetti approvati nel “tutelare le relazioni internazionali e la sicurezza degli operatori”, senza fornire alcuna ulteriore spiegazione“. La spiegazione dell’AICS è più che sufficiente quando si parla di diplomazia umanitaria o negozazione e spazi umanitari o, in altri termini, di quella confidenzialità che le Ong sono tenute a rispettare per conseguire l’obiettivo del loro mandato.



La Repubblica pose in modo differente le domande di sempre: perché non è conveniente pubblicizzare un negoziato e perché esiste un momento negoziale che precede o segue la negoziazione sul campo? “La diffusione di un negoziato è improponibile perché è necessario mantenere equilibri delicati sul territorio, per tutelare le persone vulnerabili che si vogliono raggiungere“, risposero indirettamente nel webinar 17 giugno 2021 il Comitato Internazionale della Croce Rossa e Medici Senza Frontiere assieme al Centro norvegese per gli Studi Umanitari, di quella Norvegia che – come Turchia, Qatar e Emirati – include la diplomazia umanitaria nei propri documenti strategici: “è importante capire che questo tipo di lavoro si può tradurre in effetti negativi per le popolazioni locali, in fallimenti. Nella fase della negoziazione ci sono modi di alterare dinamiche locali. Il rischio è che una figura marginale, non rappresentativa e con una interpretazione sballata dei principi della sua comunità venga condensata in una bolla che gli conferisce un po’ più di prestigio. C’è un grosso rischio di turbare equilibri, e quindi  è prioritario porsi interrogativo sulle conseguenze e se il beneficio ultimo sulle persone sia necessariamente significativo“.

Negoziazione e accesso umanitario

È da sempre un punto cruciale per gli operatori umanitari la negoziazione dell’accesso allo spazio umanitario in situazioni di conflitto o emergenza, finalizzata sia all’accesso pratico alle zone di guerra e di emergenza, sia a garantire l’accesso della popolazione agli aiuti. La tensione comincia laddove la distribuzione degli aiuti si scontra con gli interessi politici nella regione. Quali conseguenze crea tale scontro? Può portare alla ridefinizione del ruolo degli attori umanitari e delle politiche di negoziazione e di diplomazia umanitaria sul campo? Il margine di manovra delle organizzazioni umanitarie è frutto di un costante negoziato e dei rapporti di forze e di interessi tra protagonisti degli aiuti internazionali e le autorità, dipende dalla loro capacità di trovare alleanze con tutti gli attori presenti sul campo e le forme di potere in grado di favorire la loro azione. Ne parleremo con: – Antonio De Lauri, Direttore del Centro norvegese per gli Studi Umanitari e Research Professor presso il Chr. Michelsen Institute – Fabrizio Carboni, ICRC Regional Director, Near and Middle East – Duccio Staderini, Capo Missione MSF Moderatore: – Fabrizio Maronta, Limes Questo appuntamento fa parte dei nostri DIALOGHI UMANITARI, una serie di webinar per discutere sfide e dilemmi dell’azione umanitaria contemporanea, a cinquant’anni dalla nascita di Medici Senza Frontiere.

Pubblicato da Medici Senza Frontiere su Giovedì 17 giugno 2021

Riguardo all’analisi dell’ASGI,  l’Associazione per gli Studi GIuridici sull’Immigrazione che il 9 luglio 2021 ha aderito all’iniziativa Libia: una benda per non vedere?, chiamata in causa dagli articoli dell’epoca per la sua relazione sui Profili critici delle attività delle ONG italiane nei centri di detenzione in Libia con fondi A.I.C.S., ne riportiamo la perplessità sugli investimenti dichiarati da Helpcode: “Desta perplessità anche il fatto che Helpcode affermi sul proprio sito di utilizzare “tecnologie di cash-transfer con criptovaluteper la gestione, il monitoraggio e il management da remoto in aree non accessibili agli operatori umanitari stranieri per motivi di sicurezza“. L’articolo sopracitato de La Repubblica, assieme al significato contestualizzato di negoziazione per spazi umanitari, permette di fare un poco di chiarezza: “Helpcode ha speso oltre 22.000 euro per attività di monitoraggio, attraverso l’utilizzo di un’applicazione chiamata “GINA”, che garantiva un meccanismo di controllo remoto sulle distribuzioni, ma secondo un operatore libico che ha utilizzato il sistema durante le distribuzioni nei centri, rimane impossibile sapere cosa succede quando gli operatori lasciano i centri. “In generale stavamo semplicemente investendo denaro nelle basi delle milizie per assicurarci l’accesso”, conclude“.

Le conclusioni dell’ASGI sugli investimenti dei fondi erogati alle Ong:

Quanto precede mostra l’impossibilità di verificare l’effettiva destinazione dei fondi dei progetti agli effettivi beneficiari. La catena di controllo sull’erogazione di beni e servizi previsti dai progetti è infatti abnormemente lunga ed indiretta:
  • Sul versante libico, come si è più volte detto, il governo di Tripoli esercita attraverso il DCIM del Ministero dell’interno un controllo meramente formale sumolti deicentri, di fatto gestiti da miliziearmate.
  • Sul versante italiano, il MAECI esercita, attraverso AICS, un controllo doppiamente indiretto sull’effettiva destinazione di beni e servizi: questi infatti son erogati formalmente dalle ONG appaltatrici ma di fatto sono forniti da implementing partner libici.
Inoltre, sull’operato di questi ultimi nessuna ONG (con l’eccezione di Helpcode) ha previsto alcun meccanismo effettivo di controllo. Pertanto, le spese rendicontate da ciascuna ONG ed approvate dall’AICS corrispondono nei fatti a spese sostenute da soggetti libici fuori dal controllo effettivo del governo italiano, all’interno di centri libici gestiti da milizie armate fuori dal controllo effettivo del governo libico. Le perplessità sul corretto impiego del denaro pubblico stanziato per i progetti in esame sono suffragate dalla scarsa trasparenza nelle rendicontazioni delle ONG stesse ad AICS, contenenti voci di spesa generiche, approssimative e talora di importi identici ed arrotondati, che impedisce di accertare in modo chiaro e trasparente le spese effettivamente sostenute.Tali circostanze imporrebbero ulteriori verifiche al fine di fugare possibili dubbi in merito all’effettivo impiego dei denari pubblici per lo scopo per il quale sono stati stanziati, ossia migliorare le condizioni di vita dei detenuti all’interno dei centri di detenzione libici. 
Allo stato attuale, la mancanza di trasparenza nella gestione delle risorse, la difficoltà di accedere ai centri di detenzione, la totale imprevedibilità delle autorità che gestiscono i centri non consentono di escludere che le risorse siano usate per fini diversi da quelli di assistenza umanitaria. Da ciò discende il rischio che parte dei denari pubblici finiscano per finanziare clan che partecipano direttamente alle ostilità, alimentando le dinamiche del conflitto stesso o aggravando le condizioni in cui i migranti sono detenuti.

Il non riconoscimento alle Ong del loro contributo al SAR e sul territorio, la stigmate di favorire l’immigrazione clandestina, raggiunse uno dei suoi apici nel gennaio 2021. Un factsheet IPSI rispondeva alle contestazioni relative all’approdo della Ocean Viking in una Sicilia “zona rossa ma bianca per i migranti“, servite sullo sfondo della crisi di governo dopo le dimissioni di Conte, documentando “l’ininfluenza statistica sugli arrivi di migranti in Italia con o senza l’aiuto delle Organizzazioni non governative impegnate in azioni di salvataggio e recupero sul Mediterraneo“. Mentre l’Ansa riportava: “Dai sopravvissuti abbiamo sentito i racconti raccapriccianti del trattamento disumano che hanno dovuto subire in Libia“. L’ultimo recente tentativo di macchiare il soccorso e recupero di naufraghi, indicandoli come immigrati clandestini, riguardava ancora l’Ocean Viking a inizio luglio 2021, poi approdata a Siracusa.

Nel marzo del 2021 l’immagine delle organizzazioni non governative impegnate in ricerca e soccorso nel Mediterraneo subì un duro colpo per l’indagine sulla Mare Jonio iniziata l’autunno dell’autunno 2020: “Ai reati ipotizzati si aggiunge dunque anche l’accusa di “tratta dei migranti” per il trasbordo avvenuto in cambio di denaro con l’armatrice danese demandata a trovare la soluzione migliore per far apparire legale la speculazione. La Mare Jonio fa parte della flotta della ong Mediterranea Saving Humans, di cui allo stato attuale non risulta indagato alcun componente in quanto l’organizzazione non governativa appare estranea ai fatti“. I fatti della Mare Jonio, tra l’altro, evidenziavano quello che poi venne sottolineato proprio nel webinar di Medici Senza Frontiere: “La moltiplicazione degli attori umanitari, dei movimenti dal basso, di gruppi che sorgono in forma spontanea e si consolidano nel tempo, di gruppi politici che strumentalizzano, di aziende che trattano di aiuto umanitario pensato in termine di prodotto“, che sta comportando una professionalizzazione degli agenti umanitari “come dimostrato dalle analisi e dalla promozione di esperienze e riflessioni sulla negoziazione realizzate dal Centre of Competence on Humanitarian Negotiation, iniziativa congiunta ICRC, UNHCR, WFP, MSF“.

Nella recente visita (6 aprile 2021) del Presidente del Consiglio Mario Draghi in Libia, dove il governo italiano è chiamato a rappresentare gli interessi dell’Unione europea, l’Italia aveva ribadito che in un Paese in guerra, il prerequisito fondamentale è che “il cessate il fuoco continui e sia strettamente osservato. La sicurezza dei siti è indubbiamente un requisito essenziale per poter poi procedere con la collaborazione“, e chiarito che il problema della pacificazione “non è solo geopolitico ma anche umanitario. Il problema non nasce solo sulle coste libiche ma anche sui territori meridionali“. Meglio ancora, risolvibile solo in concordato con i Paesi a meridione dei “territori meridionali”.

Le migrazioni continentali sulle rotte keniane nel 2015 arrivavano principalmente dall’Uganda e dal Sudan, non necessariamente paesi d’origine dei flussi: l’attenzione in quel periodo era dedicata ad analizzare il movimento delle migrazioni forzate su cui si focalizzavano gli interessi dei trafficanti di esseri umani, individuando un’origine comune (la Somalia) e rotte migratorie lungo il confine tra Kenya e Uganda. Dal 2015 al 2020 i flussi migratori forzati non hanno avuto incrementi significativi se non nei numeri fuori ragione di Dadaab, la più vasta “città invisibile” al mondo di profughi. – Il Kenia delle migrazioni continentali

Nell’immaginario collettivo italiano le migrazioni avvengono solcando i mari: foto d’epoca ritraggono i nostri bisnonni in partenza su grandi navi per l’America, più recentemente negli anni novanta gli approdi sulle coste pugliesi di cittadini albanesi, ai giorni nostri i “barconi” provenienti dalla Libia. L’Uganda, conosciuta come la Perla d’Africa per la sua natura selvaggia ed impenetrabile, ricca di acqua e di materie prime, non ha sbocco sul mare! .. eppure accoglie oltre 1,4 milioni di rifugiati (stima al 31 gennaio 2021), in prevalenza dal Sud Sudan e dalla Repubblica Democratica del Congo. Una migrazione interna al Continente, una migrazione che non viene dal mare. – Uganda: la migrazione non viene dal mare!

Ciò che apparve inappropriato nella dichiarazione di Draghi fu la premessa al problema umanitario: il Presidente del Consiglio al Primo Ministro Dbeibeh: “esprimiamo soddisfazione per quello che la Libia fa per i salvataggi. Nello stesso tempo aiutiamo e assistiamo la Libia“. Oggi la Libia è un Paese che prova ad uscire dalla guerra civile con una popolazione in seria difficoltà sanitaria a cui si aggiunge il problema del sovraffollamento dei centri di detenzione dovuto tanto ai rimpatri forzati quanto ai flussi migratori.

Il 22 giugno 2021 Medici Senza Frontiere comunicava la sospensione delle attività in due centri di detenzione a Tripoli: “in seguito di ripetuti episodi di violenza contro migranti e rifugiati, annunciamo la sospensione delle attività nei centri di detenzione di Al-Mabani e Abu Salim a Tripoli“. La reazione di MSF fu conseguenza di quanto accadde alcuni giorni prima: “atti di violenza perpetrati da parte degli addetti alla sicurezza, inclusa l’indiscriminata violenza contro alcune persone colpite mentre lasciavano le loro celle per essere visitate dai nostri operatori sanitari“.

Il 30 giugno 2021 la vedetta Bigliani Ras Jadir 648 della Guardia Costiera libica, imbarcazione fornita dall’Italia il 15 maggio 2017, agiva in SAR (Search And Rescue) maltese violando limiti di operatività e regole d’ingaggio per dare la caccia ad una imbarcazione a 35 miglia nautiche da Lampedusa.

Il 2 luglio 2020 la Marina militare libica aprì un’inchiesta sull’accaduto e il 3 luglio la procura di Agrigento acquisì le prove video da Sea-Watch chiedendo l’autorizzazione a procedere al Ministero di Grazia e giustizia contro l’equipaggio della motovedetta. Il 5 luglio 2021 lo stesso mezzo operava ancora in sar maltese.

Il 6 luglio 2021 SOS MEDITERRANEE denunciava: “Non solo ci è capitato di salvare centinaia di persone senza alcun coordinamento da parte delle autorità marittime, ma abbiamo anche avvistato resti di barche intercettate dalla Guardia Costiera libica, anche nella regione di ricerca e soccorso maltese“.

domenica 04 giugno 2023 12:53:08

Covid-19 Dataset Libia

507,263 Casi totali
6,437 Decessi
500,825 Casi recuperati

L’8 luglio 2021 viene dichiarato lo stato di emergenza per l’incremento dei casi di contagio covid a causa del deterioramento della situazione epidemologica nel Paese. Il Ministero dell’Istruzione comunica la sospensione delle lezioni in tutte le università. La variante Delta è indicata come causa dell’incremento dei casi. La Libia sospende i voli e chiude le frontiere con la Tunisia.

LIBIA: UNA BENDA PER NON VEDERE?

“Non si può sequestrare e oscurare preventivamente un contenuto giornalistico per il reato di diffamazione” – Francesco Cancellato, direttore Fanpage.it. “Riteniamo che …

Il titolo è parte del Comunicato di redazione Open del 21 settembre conseguente le intimidazioni di cui è stato oggetto David Puente …

“It’s only a vaccine passport if it comes from the vaccine passport region of France otherwise it’s just a sparkling social contract” …

Immagine di copertina da Verizon - 2021 Data Breach Investigations Report (DBIR), pagina 15. Happy Blog di REvil torna online dopo lo …

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