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The Zonker’s Zone

MD AMN e ideatore di The Intruder News. Copywriter, comunicatore, esperto di article marketing e trading d'informazione. Creatore e Brand Manager di ADV Magazine nel 2004, mi occupo della pianificazione di campagne informative dalla creazione del ... continua sulla pagina autore
Appassionato cultore di tutto ciò che fosse scoperta, viaggio e conoscenza oltre veli d'ipocrisia conditi di superficialità, Enzo Baldoni fu tra i primi in Italia ad utilizzare il blog come vero strumento di comunicazione, sintetico, efficace, diretto ed emozionale, nel tratteggiare sensazioni e pensieri mai "costruiti": il là motivazionale dei suoi reportage.

Le cronache di Enzo Baldoni – oggi patrimonio culturale tutelato grazie al redirect del sito Le Balene Colpiscono Ancora, società di comunicazione di cui fu fondatore e copywriter – accompagnate dai suoi stessi scatti, sono pagine di un diario di viaggio che coinvolge, fa riflettere e informa come anche solo una mailing list, la sua Zonker’s Zone dal nome di uno dei personaggi principali della striscia statunitense Doonesbury. Zonker Harris, l’eterno Peter Pan: “Io stesso lì mi firmo Zonker” – citando la Repubblica, 29 luglio 2001, in un articolo dal titolo infelice al cui contenuto molti, troppi, dedicarono attenzione postuma anche tra i suoi colleghi e tra chi di loro ignorava la sua seconda professione…

… oltre Doonesbury

Enzo Baldoni @ Doonestory 14

Doonesbury è una striscia a fumetti statunitense in cui politica e storie generazionali s’incrociano senza soluzione di continuità: un political cartooning. Politicomics: la striscia compare per la prima volta il 26 ottobre 1970 ma i primi disegni della Bull Tales (poi diventata Doonesbury) di Garretson Beekman Trudeau risalivano al 1968 per lo Yale Daily News, il giornale universitario della Yale University. Non poteva essere altrimenti visto che la striscia racconta la storia di un gruppo di amici iniziata durante gli anni del college. La mailing list Zonker’s Zone, la “Maggica list“, è un universo parallelo quanto il Doonesbury e come la striscia è un unicum di connessioni tra persone, di vite: “una comunità di una sessantina di persone che discute di qualunque argomento, dai piccoli grandi eventi della vita politica, dalla letteratura alla musica. Ci scriviamo centinaia di email al giorno. In list sono nati amori, amicizie e passoni, c’è chi ha mollato il lavoro o cambiato vita. E tutto senza vederci di persona. Ma ogni tanto fissiamo una Zonkerata“. Enzo Baldoni curò l’edizione italiana di Doonesbury per quasi 25 anni, poi… il sequestro, l’omicidio il 26 agosto 2004, il funerale 6 anni dopo e il monumentale di Milano nel 2020.

Enzo Baldoni non passava “le vacanze in giro per il mondo a conoscere personaggi singolari. Anche guerriglieri“: l’infelicità del titolo scelto per l’articolo di Luigi Bolognini su la Repubblica sta nel raccontare Baldoni da una prospettiva propria del parco lettori di quegli anni. Il redattore addetto alla supervisione quando non alla creazione dei titoli di un giornale, il titolista, ha il compito affatto semplice di sintetizzare senso e prospettiva dell’articolo, già… e dell’editore. Titolo infelice dunque, certo, ma utile a far conoscere il lavoro di Baldoni anche postumo.

“in una sola parola è contenuto realmente il contenuto di senso di tutta l’opera” – Pensiero e Linguaggio

Sepolto nel suo paese natale – poi, dieci anni dopo, la tumulazione al cimitero monumentale di Milano, il suo riposo era accompagnato da un passaggio di Marguerite Yorcenar tratto da L’opera al nero: “Ho la mia dose di ambizione come gli altri, ma se un potente del giorno ci rifiuta un brevetto o una pensione, che gioia lasciar l’anticamera senza dover ringraziare Monsignore e andar liberamente per le vie colle mani nelle tasche vuote… Ho goduto molto: ringrazio l’Eterno perché ogni anno porta il suo contingente di ragazze nubili e ogni autunno il vino; talvolta dico tra me e me che ho avuto la buona vita di un cane al sole con varie risse e qualche osso da rodere“. Una citazione scelta per sintetizzare di metafora una vita vissuta spesso per scelta, raramente per imposizione: “Sono stati anni difficili, ma anche pieni di cose positive, voglio partire da quelle” – raccontava Giusi Bonsignore, moglie di Enzo Baldoni, intervistata da Luigi Bolognini nell’articolo commemorativo di Repubblica del 25 agosto 2014 – “Mi sono rimboccata le maniche e sono andata avanti. Il modo di Enzo di guardare la vita mi ha contagiata. Nei miei figli rivedo tante cose di lui, sono felice che abbiano trovato la loro strada. E poi c’è il mio nipotino Lorenzo“. La memoria di Enzo Baldoni nel decennale della sua scomparsa era quanto mai viva e attuale: “Ho continue richieste, mail, telefonate di persone che vogliono sapere e approfondire: intellettuali, teatranti, musicisti hanno rielaborato i suoi testi e creato spettacoli. Mauro Biani ci stupisce spesso con meravigliose vignette“.

Sull’importanza dei titoli, Giusi Bonsignore fu lapidaria: “la denigrazione e lo scherno di giornali come Libero: impossibile dimenticare la ferocia, durante la sua prigionia, di due articoli titolati Vacanze intelligenti e Il pacifista col kalashnikov“. La scelta del titolo di un articolo è un’operazione delicata che di norma attiene alla valutazione del redattore e non dell’autore, Salvatore Claudio Sgroi in un pensiero: “Sicché da un lato l’autore è come dire deresponsabilizzato dalla correttezza di un titolo, dall’altro però rischia di essere vittima del titolista, quando il titolo non rispecchia il suo pensiero, o addirittura ribalta il senso (il messaggio) dell’articolo“.

Il titolo come sintesi, prospettiva d’ingaggio per il sentiment del lettore, è sinonimo di Primo Contatto e come tale porta con sé oneri e doveri che sono l’antitesi del clickbait. Così era anche per Enzo Baldoni che ingaggiava il lettore, il “compagno di viaggio”, iniziando dal titolo come moka appena messa sul fuoco.

Voglio che si rida

Zonker’s Zone @ Archive

Il titolo di un articolo o di un reportage, di un’opera compiuta, è l’istantanea di un processo creativo, creatività in azione, firma certo “fisica” ma soprattutto d’attitudine personale sociale prima che culturale, che il “personale” includa pure l’editore o la committente di una campagna promozionale. Enzo Baldoni, l’associato Art Directors Club Italiano, conosceva l’arte e il valore dei titoli. Enzo Baldoni, il reporter, utilizzava lo stato dell’arte in modo spontaneo ma mai banale: ironizzava, sdrammatizzava oppure amplificava ma sempre lasciando alla sensibilità del lettore, alla sua ricettività, l’onere di mettere alla prova le sue convinzioni con la lettura di quanto il titolo pareva anticipare. Enzo Baldoni non era un prodotto italiano del disincanto annoiato e disilluso della cultura occidentale. Era un creativo e un pubblicitario primitivo ed efficace nell’affondare i colpi: ben saldo nei suoi principi, non vi si cullava. Mai alla ricerca di graal, i continenti dietro le sue linee d’orizzonte erano popolati da storie, persone, sconosciuti, frammenti di realtà, che Enzo Baldoni, il giornalista d’inchiesta, con il suo lavoro s’impegnava a rivelare, approfondire, a volte scoprendo che non c’era nulla da scoprire ma solo voce da dare a chi non ne aveva.

Morbo di Hansen? Bullshit. Mia nonna e’ morta di lebbra, mio padre e’ morto di lebbra, tre fratelli sono morti di lebbra e la lebbra ce l’ho anch’io. E allora?” ghigna Richard, sardonico, e continua: “Il governatore mi ha chiesto di che armi avevano bisogno i miei aiutanti. Armi, gli ho detto io? Ai miei aiutanti servirebbero delle dita!” – Fuori i lebbrosi dal paradiso.

I titoli nei suoi reportage non erano catalizzatori di stati d’animo ma istantanee scattate senza pose, frammenti di sentiero di un mandato rivelato a fine percorso. La cronologia è irrilevante, per cui in ordine alfabetico: 2003: ritono in Colombia; Caduta, massacri e resurrezione di Timor Est; In Messico e in Chipas sull’onda del caso e dei fucili; Viaggio in Colombia tra guerriglieri, drogati, cantanti, ereditiere. Enzo Baldoni giocava con i titoli, come ogni creativo di talento, non per attirare ma per ingaggiare il lettore dalla sua prospettiva ed invitarlo ad esperienze d’analisi critica. Ballata triste di sesso cubano apre d’incipit “2003: Fidel Castro, con 75 carcerazioni di dissidenti e tre fucilazioni, tarpa le ali alla primavera cubana. Il nostro ficcanaso si precipita all’Avana per sentire cosa ne pensano lavoratori, cameriere, jineteras, diplomatici, commercianti, casalinghe, passanti e agenti dei servizi segreti – e finisce per farsi coinvolgere in una strana storia di sesso, tutto cubano“. Voglio che si rida, scrisse Enzo Baldoni immaginando il suo funerale, sempre e comunque “il ritratto migliore sarà quello che strapperò più risate fra il pubblico“.

Bloghdad - sabato, 24 luglio 2004

La terra, il tepore, la morte.
E' tornato. E' tornato il momento di partire.
Da un po' di tempo la solita vocina insistente tra la panza e la coratella mi ripeteva: "Baghdad!
Baghdad! Baghdad!". Ho dovuto cedere.
Come sempre, quando si prepara un viaggio importante, cominciano a grandinare le coincidenze.
E chissà quanto sono segni e quanto le provochiamo noi.

Ancora una volta, prima di una partenza, mi sono sdraiato sotto le stelle, nella Romagna dei miei
nonni e della mia infanzia, in cima a Monte Bora, sulla terra notturna ancora calda del sole di
luglio.
La terra, sotto, mi riscaldava il corpo. La brezza, sopra, lo rinfrescava.
Lucciole, profumo di fieno tagliato, il canto di milioni di grilli.
E' qui che da piccolo studiavo spagnolo su un libro trovato in soffitta. E' qui, davanti a un piatto di
tagliatelle, che tre anni fa si è fatta sentire la solita vocina che ripeteva: "Colombia, Colombia,
Colombia!"

Voglio che si rida “quindi dateci dentro e non risparmiatemi. Tanto non avrete mai veramente idea di tutto quello che ho combinato“. Voglio che si rida: “Le mie ceneri in mare, direi. Ma fate voi, cazzo mi frega. Basta che non facciate come nel Grande Lebowski“. Voglio che si rida: “Guardando il cielo stellato ho pensato che magari morirò anch’io in Mesopotamia, e che non me ne importa un baffo, tutto fa parte di un gigantesco divertente minestrone cosmico, e tanto vale affidarsi al vento, a questa brezza fresca da occidente e al tepore della Terra che mi riscalda il culo. L’indispensabile culo che, finora, mi ha sempre accompagnato“. Voglio che si rida, così come in quel di Cuba, riflettendo su se stessi, sul mondo, informando.

Peter Pan a Cuba

  • Tristi le facce delle jineteras
  • L’Avana Vieja si fa il vestito nuovo
  • Tre pesci sotto la ceiba
  • La chica e la bambina: Per le strade dell’Habana vecchia i ragazzini giocano a domino o a baseball con palle di legno e guanti rimediati. Occhieggi nei bassi dalle porte spalancate e vedi ragazzi, in maggioranza neri, stravaccati di fronte ai televisori. La sensazione di degrado è forte, sottolineata dalla puzza di fogna, di immondizie fermentate, di soffritti bruciati. Le case sono pesantemente sbarrate, in ogni appartamento la porta è chiusa da un cancello supplementare. Di fronte a una finestra a mezzaluna tagliata in un portone e protetta da sbarre una piccola folla compra le cajitas, scatole di cartone con cose povere, patate e pollo, o yucca e salsiccia: un fast food alla habanera. Dentro un portone spalancato due ragazzi, due ragazze e una bambina se ne stanno stravaccati su divani sdruciti di skai, guardando la televisione. Una delle ragazze mi chiama: “Ehi, amigo, ti piace questa chica? Vieni, vieni, guardi che roba!” La chica si fa avanti , si mette in mostra, assume pose sexy. E’ magra, ossuta, non ha l’aria tanto sana. I due ragazzi ridono, la bambina guarda la scena e ride anche lei.
  • Primero de Mayo
  • La mistica della sofferenza: “Per quarant’anni abbiamo coltivato la mistica della sofferenza, un furore rivoluzionario che ci faceva sentire duri e puri” dice un professore universitario. “Abbiamo fatto sacrifici inenarrabili in nome della rivoluzione. Adesso mi trovo a guadagnare quindici dollari al mese, quello che un posteggiatore guadagna in un giorno. E nello sguardo dei miei figli sento il rimprovero perché non posso permettermi di comprargli la felpa della Nike. Non è piacevole”
  • Dirotta il vaporetto!: Poi, il botto: undici disgraziati con una pistola cercano di dirottare il traghettino che attraversa la baia dell’Avana dalla città vecchia a Regla, una roba tipo il vaporetto per Torcello, assolutamente inadatto ad attraversare lo stretto di Florida. Non c’è neanche abbastanza carburante, e infatti il traghetto comincia a sputazzare e si ferma ben prima di raggiungere le dodici miglia. I guardacoste lo raggiungono, lo fermano, arrestano gli undici. Un atto così disperato e male organizzato che al massimo avrebbero dovuto prenderli a pernacchie. E invece, nonostante i turisti stranieri siano concordi nell’affermare che i pirati sono stati correttissimi e che non c’è stata nessuna violenza, tre dirottatori (“I più violenti”, secondo l’accusa) vengono fucilati dopo un processo sommario e senza garanzie.
  • La primavera infranta: Se ne stanno tutti zitti e abbottonati, i cubani: sul Paseo de Martì, alla gelateria Coppelia, al caffè dell’unione Scrittori al Vedado, nelle piazzette dell’Avana vecchia. Dopo le fucilazioni dei tre disperati che avevano cercato di dirottare il traghetto della baia è impossibile parlare con qualcuno, a Cuba. Tutti zitti, tutti spaventati e rintanati i dissidenti ancora fuor di galera. Muti gli scrittori e i giornalisti. Doppiamente prudenti alla nunziatura apostolica, che rifiuta qualsiasi dichiarazione. E’ comprensibile. In un mese – aprile, il più crudele dei mesi – il governo di Fidel Castro ha spezzato le ali a quella che sembrava essere la primavera di Cuba: il cambio, l’apertura, più spazio alle voci critiche, maggior facilità di espatriare, i primi scambi con gli USA, addirittura i primi segni, se non di un secondo partito, almeno di un movimento d’opinione non allineato al regime. Poi, brutale, il pugno d’acciaio. Che in russo, come ben si sa, si traduce Stalin […]
  • Il potere corrompe anche i rivoluzionari: “Castro è stato un eroe, e noi gli vogliamo bene” mi dice un ragazzo nero nel Paseo di Martì “Ma non si può stare al potere assoluto per quarant’anni senza corrompersi. Non è più il potere al servizio del popolo, ormai è il potere al servizio del potere. E’ ora che se ne vada in pensione.”
  • Un golpe in Plaza de la Revolución?
  • Le condanne dei compagni
  • Nel giardinetto di Bush
  • Due posteggiatori di classe: Guidare per l’Avana è piacevole, il traffico è leggero, il parcheggio si trova facilmente. Di fronte al porto ci sono due posteggiatori sui sessanta, simpatici, dall’aria colta, gli occhialini e impeccabili magliette Havana Club, che parlano uno spagnolo cortese e forbito. Due posteggiatori di classe. Gli affido spesso la macchina, quando la riprendo lascio sempre un dollaro, e facciamo amicizia facilmente. Gli chiedo che lavoro facevano, prima. “Io ero direttore di una fabbrica di sigarette” mi dice Mario. “E io ero responsabile delle operazioni di una catena televisiva” sorride René, che è quello della foto qui sotto. Ovvio. Come parcheggiatori guadagnano in un giorno quello che prima guadagnavano in un mese. E in dollari.
  • I nostri dissidenti all’Avana: “I dissidenti? Oh, qui a Cuba ogni ambasciata aveva i suoi, e spesso non si conoscevano l’uno con l’altro” mi dice un diplomatico, con un pizzico di distaccato cinismo.” Hai presente Graham Greene? Il nostro agente all’Avana? Essere un dissidente dava status, dava accesso a finanziamenti e aiuti. Perché è ovvio, gli americani li finanziavano largamente. Un po’ tutti lo facevamo, fa parte del gioco. Non dico che tutti ci marciassero, anzi: molti di loro sono comunisti sinceramente interessati a un’apertura del partito, a un cambiamento in senso democratico. Tanti, però, sull’etichetta di dissidente, ci hanno costruito piccole fortune. Ma sai com’è … a Cuba non sai mai davvero chi ti sta davanti. Pensa a quegli otto dissidenti che in realtà erano stipendiati – o chissà, magari ricattati – dal Minint.” […]
  • “Perché a te il passaporto?”: “Come si fa a vivere in un posto dove c’è un solo giornale e un solo partito?” mi dice a voce bassa una giovane dottoressa passeggiando sulla spiaggia di Guanabo “E dove la televisione trasmette solo salsa e i discorsi del Leader Maximo? Come si fa a mettere in carcere 78 intellettuali colpevoli solo di cercare un’apertura, uno spiraglio? E fucilare tre persone solo perché cercano di scappare? Ma perché tutti vogliamo scappare da Cuba? Per te è facile espatriare, basta chiedere un passaporto. Per me resta un sogno proibito. Anche se avessi i soldi per il biglietto non mi darebbero il permesso, perché la mia specializzazione è considerata strategica. Il mio capo è stato invitato dall’Ospedale di Careggi a un corso di altissima specializzazione, con una borsa di studio pagata dall’italia. A sua moglie, pure medico, non hanno dato il permesso, perché non avevano figli da lasciare qui. Non gliel’hanno mica negato ufficialmente. Qui a Cuba c’è tutto un modo obliquo di perdere le carte, di far ritardare i permessi. Fatto sta che a due coniugi non danno mai contemporaneamente il permesso di espatrio, se non hanno figli da lasciare in ostaggio. Io non vorrei mai lasciare Cuba per sempre. Ma qui ti viene la claustrofobia. Capisci perché c’è tutta questa corsa a sposare lo straniero, anche se è vecchio e brutto? Qualsiasi cosa pur di andarsene. E poi cosa credi, che a Cuba non ci sia razzismo? C’è, c’è. La vedi questa pelle nera? Non hai idea di quante umiliazioni mi costi.
  • La fedelissima di Fidel: una santa. O, meglio,
  • una santera.
  • La mammella sovietica
  • La storia della foto del Che
  • Ma che gli frega dell’Europa?
  • Fidel: el santero maximo?
  • Con la libreta non si campa.
  • Bush invaderà Cuba?
  • La vera rivoluzione? Cessare l’embargo.
  • La dentista dell’ospedale di provincia
  • Tania, Camilo, Il Che: […] Ogni tanto mi chiedo cos’è che spinga queste persone eccezionali che poi, a seconda dei casi della vita, possono diventare eroi o traditori, o magari invecchiare in un anonimato grigio. Non possono essere solo i denari. Forse la voglia di scoprire i propri limiti, una certa attrazione per il rischio e per la morte, forse anche una grande generosità, o il patriottismo, o il sentirsi dentro una missione, chi lo sa. E probabilmente non ha nessuna importanza. In ogni caso, Tania condivise i pericoli dell’insurrezione boliviana e la guerriglia a fianco di Guevara, e in Bolivia trovò la morte. Oggi è sepolta a Santa Clara nel mausoleo del Che. […]
  • L’ufficiale della inteligencia
  • Sull’eccezionalità degli eroi: “Mi scrive un regista che molti di voi conoscono, e che anni fa ha tenuto un corso alla scuola di cinema dell’Avana, quella diretta da Gabo Marquez: “…ti dirò una cosa che mi raccontava Diego, uno degli autisti che ogni tanto facevano servizio per la scuola di cinema di S. Antonio de Los Baños, ex pilota di Mig nelle guerre che i cubani hanno combattuto in Africa, coetaneo di Che Guevara, e che all’epoca faceva parte del ristretto gruppo di uomini a disposizione di Guevara 24 ore su 24 come guardia personale. Diego, dopo che eravamo entrati in confidenza perchè chiamavo sempre lui, e dopo una buona dose di Rum, mi disse più o meno: ‘El Hombre estava paranoico. Non si fidava di nessuno. Era maniaco delle armi. Fijate que soffriva di insonnia , e andava in giro a fare agguati alle sentinelle, per vedere se stavano in allerta. Gli sparava addosso. Ogni tanto ne feriva qualcuno, che poi spariva e non si vedeva più‘. Gli dissi che mi ricordava il baffuto capitano Monesi, dell’8° reggimento Lancieri di Montebello, che di notte amava fare le improvvisate ai piantoni, col colpo in canna, o li assaltava con la baionetta. A differenza di Guevara, Monesi prese una vassoiata d’acciao in testa da tale Cocuzza, napoletano con qualche lieve precedente penale addetto alla sala mensa, e finì la sua carriera su una sedia a rotelle, pensionato dello stato. Lui scoppiò a ridere e mi disse, più o meno: ‘Guarda com’è buffa la vita. Se questo stronzo del tuo capitano coi baffi nasceva a Cuba, magari diventava eroe nazionale‘.”
  • Meglio aver avuto un sogno o non averlo mai avuto?: Cuba è alla fame? Largamente. Ma Sandro mi scrive ancora: “Anche in Guatemala o Portorico o Belize o Panama i poveri sono tanti, ma stanno ancora peggio e sono sempre incazzati, è pieno di armi e per strada ti saltano addosso, e la polizia ne garrota un bel mazzetto al giorno senza che la cosa faccia notizia . E’ il risultato delle demo-dittature centroamericane filo USA. Insomma: non so se è meglio almeno per un periodo aver avuto un sogno, che pure è caduto a pezzi, o non averlo mai avuto. Chissà. E qua si ferma la mia facoltà di capirci qualcosa.
  • Come andrà a finire?
  • Ballata di sesso cubano: Via, via dall’Avana con le sue jineteras e le sue puttane, il suo caldo soffocante e il suo casino, i suoi vicoli che puzzano di fogna e di miseria. Voglio un break dalle nere che cercano di portarti a letto e dai mulatti che ti asfissiano per strada proponendoti sigari, un taxi, un paladar o (in ottimo italiano) “Amigo, se ti piace la figa ti faccio impazzire“. Datemi un po’ della Cuba incontaminata, un posto dove non ci siano turisti, dove la gente sia ancora vera e spontanea, dove nessuno ti veda come un bancomat a due gambe. Via verso la costa, verso un angolino sperduto dove c’è poco turismo e la gente è ancora semplice e non guastata dal dollaro! […]
  • Señor, usted es maricón?: […] Al mare, al mare! La natura è un sogno, qui, chilometri e chilometri di spiagge deserte orlate di palme e mangrovie. Migliaia di granchi rossi attraversano la strada. E’ la stagione degli amori, scendono dalla montagna per deporre le uova in mare. La striscia d’asfalto è un tappeto brulicante di granchi in movimento. Impossibile non schiacciarne qualcuno. I gusci fanno crick crash sotto le ruote della macchina. Avvoltoi grossi come tacchini si posano a becchettare i cadaveri, e si spostano pigramente quando arrivi. Ma il mare: Dio, il mare è una meraviglia, caldo, trasparente come ai tempi in cui fu creato il mondo. Le spiagge bianchissime, di corallo. Trovo un posto carino, c’è un gruppo di simpatici cubani chiassosi, non mi dispiace un po’ di calore locale. Li saluto e mi metto un po’ in disparte. Ma non esiste restare in disparte, a Cuba: entro dieci minuti mi hanno già chiesto in prestito la maschera, offerto un bicchierino di ron e coinvolto in una chiacchierata sull’Italia, su Cuba e, naturalmente, sulle chicas. […] Tranquílo un cazzo. Sembra che qui non pensino ad altro che a farmi scopare. E poi cos’è questa storia che sono tutti d’accordo? In che senso, vogliono mettermi in mezzo? Cosa vuole da me torace-a-botte? E questa Ramona che salta sempre fuori? Sono un po’ incazzato e anche un po’ preoccupato. La macchina l’avevo chiusa a chiave, controllo che non manchi niente. Saluto, mi metto al volante e me ne vado alla Stazione Meteorologica.
  • Due simpatiche puttanine
  • Aragosta con contorno di chica
  • La cocha in fiamme
  • Due nonnetti affettuosi
  • Una bimba di notte: Passo tutta la giornata in barca con gli altri sub. Facciamo un paio di immersioni, ci sono bei coralli, meduse e pesci di tutti i colori: la solita fauna sottomarina. Anche la fauna terrestre è la solita: italiani, spagnoli, olandesi, canadesi, un paio di americani. Si parla delle solite cose. Quella volta, in Malesia, lo squalo balena … in Borneo i barracuda sono più grossi … in Egitto i coralli sono più colorati… Essere a Cuba, alle Maldive, in Messico o a Sharm è indifferente, se lo vedi da un resort. Ci trovi il solito nord del mondo autoreferenziale, che parla sempre di se stesso e dei suoi capricci costosi, ignorando quello che succede un chilometro fuori dal cancello, sorvegliato da guardie private che tengono alla larga i legittimi padroni di casa – a meno che non siano sguatteri, camerieri o donne delle pulizie. […] Passo davanti all’albergo dove avevo lasciato i vecchietti e chi ti trovo se non loro, con la bambina in braccio? Ovvio, da qui oggi sono passate pochissime macchine, e nessuno li ha caricati. Mi fermo: “Ehi! Ancora qui?” . “Ancora qui, señor.” – “Ma da quanto tempo aspettate?” – “Oh, quattro – cinque ore.“. Povera bimba, avrà fame, avrà sete. E’ stravolta, stanchissima. I vecchietti, invece, sembrano piuttosto su di giri. Lui ha la camicia macchiata di unto e di vino. La bimba ha in mano un contenitore Tupperware pieno di una roba di un azzurro sconosciuto in natura. Probabilmente un pezzo di torta al puffo. Ai cubani piacciono i colori luminescenti. Si adagia sul sedile posteriore e si addormenta di botto. “La bimba è stanca, eh?” sorrido. Penso a quante volte la mia bambina si è addormentata come un sasso, appena seduta in macchina. “Eh, sì. Il sole, le zanzare, la festa…” – “Festa?” . “Sì, c’era una festa in albergo…“. Mi si drizzano i capelli. Ma chiudo la bocca e continuo a guidare nella notte. Non voglio sapere a che tipo di festa, in un albergo a cinque stelle proibito ai cubani, i vecchietti hanno portato quella bambina bionda, tutta infiocchettata, con l’aria così sbattuta. Non ho il coraggio di investigare, e scaccio con fastidio un pensiero vagabondo che non vuole smetterla di ronzarmi tra le orecchie.
  • Miseria e ignoranza, ignoranza e miseria: […] Fanculo. La miseria rende la gente brutta e triste. La miseria fa più male della mancanza di libertà. E poi se sei in miseria che libertà è? La miseria ti fa diventare meschino. La miseria puzza, ha l’alito cattivo, le croste in testa e non ti offre vie di scampo. E la figlia piccola di Isolina, la bambinetta bionda tutta infiocchettata che i nonni hanno accompagnato all’albergo? Che ci facevano due poveracci come loro in quell’albergo? Mi prende una tristezza immensa, non ce la faccio più a reggere il gioco. Saluto Isolina, dico che per l’aragosta ci penserò e vado sulla spiaggia da cartolina a prendere a calci i coralli stupendi che il mare ha levigato come ciottoli, e a bestemmiare con me stesso, con la vita, con le palme, col mare trasparente e incantato, con la miseria, che è davvero porca, e non è un modo di dire. FINE. Nota. La storia è spietatamente vera fino all’ultimo dettaglio. Ho cambiato i nomi degli interessati e dei luoghi: Guaracabuya è una cittadina della provincia di Santa Clara considerata il centro geografico di Cuba, equidistante da qualsiasi altro punto: è il midollo, il cuore simbolico dell’isola, un luogo dello spirito. Il nome mi piaceva, con quel suono di buio dentro, e l’ho rubato. Mi scuso per la scarsa qualità delle foto, prendetele per quel che sono: poco più che appunti fatti con una macchinetta digitale. La serie è finita e per parecchio tempo non ci sentiremo più. Grazie per avermi letto. Mi farà piacere, se volete, trovare un vostro commento, un incoraggiamento o un insulto.
“Non bisogna far viaggiare le persone ma le idee” – Enzo Baldoni

Ogni anno le commemorazioni per Enzo Baldoni iniziano il giorno prima, oggi, quasi ci fosse fretta, esigenza, necessità di ritrovarlo prima che ricordarlo. Perché manca. “Baldoni. Manca l’intelligenza, so dove sarebbe andato: in Siria, o forse a Lampedusa, oppure al confine macedone” – enzo baldoni at Mauro Biani. Non necessariamente. Magari più da nessuna parte. Non è importante. Manca quello che riempiva le parole che scriveva, la sua volontà indomabile di abbracciare la vita scacciando le ombre, anche solo con un reportage, anche solo indicando ciò che spegneva sorrisi.

Enzo Baldoni. Il copywriter, l’art director, il giornalista, il fotoreporter, l’assistente umanitario, il viaggiatore, il turista per caso, il marito, il padre, l’uomo e la sua filosofia di vita, voglio che si rida… gli spazi bianchi tra una parola e l’altra.

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Guerre Spaziali

Sono passati più di 5 secoli da quando le potenze mondiali, allora solo europee, iniziarono una dura competizione per occupare gli enormi spazi del continente americano, dall’estremo nord all’estremo sud, visti allora – come poi si rivelarono in effetti – ricchissimi in ogni tipo di risorse.

Comunicare l’Albero

Come comunicare l'albero ai tempi dei social network, ovvero come comunicare al meglio la vostra professione? Partiamo da una considerazione banale: il social media marketing, lo dice già la parole, è marketing. Questo non lo dobbiamo mai dimenticare; per quanto possa apparire scontato, l'applicazione dei principi del marketing è una precondizione essenziale prima di elaborare una qualsiasi strategia utile a migliorare la vostra comunicazione sui social network. Dunque, come Comunicare l'Albero?

The Internet Way (prefix)

Sulla percezione del diritto all'informazione al tempo della rete: dal fallout dell'informazione durante la campagna elettorale statunitense di Donald J. Trump nel 2016 all'elezione di Pedro Pablo Kuczynsky, fino a Carole Jane Cadwalladr che aprì il vaso di pandora della comunicazione politica al tempo dei social network; quando partecipazione politica in uno stato d'emergenza è sinonimo di campagna politica?

Consegnato alla NASA il primo modello di lander lunare. La strategia della NASA per l’esplorazione spaziale, un programma in 3 “giant leap for mankind” che procede spedito, ma qualche intoppo (finanziario) potrebbe rallentarlo: la prima stazione spaziale in orbita lunare, la costruzione di una base sulla Luna e il balzo verso Marte. Il programma Artemis, che riguarda le prime due fasi e che porterà anche la prima donna sulla Luna, è a breve termine ma è sottoposto a rischi finanziari.

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