Immagine di copertina dalla prima pagina dell'inserto di POLIZIAMODERNA sulle caratteristiche e la normativa di contrasto degli hate crimes: Quando l'odio diventa reato (PDF) di Stefano Chirico (direttore segreteria OSCAD), Lucia Gori e Ilaria Esposito (segreteria OSCAD) con l'introduzione di Vittorio Rizzi (presidente OSCAD).
4 neonazisti indagati per istigazione all’odio razziale e all’antisemitismo, titola il comunicato stampa della Polizia di Stato di oggi. Dall’analisi dei device sequestrati, specifica il comunicato, “sono state rilevate anche diverse chat su Telegram e WhatsApp” in cui i partecipanti esaltavano “alcune gravi azioni violente poste in essere nei confronti di stranieri, come quella messa in atto a Macerata nel febbraio 2018 da Luca Traini”, che causò il ferimento di sei cittadini extracomunitari, e come quella avvenuta “a Marsala nell’autunno del 2020” che portò all’arresto di 3 persone che durante l’estate avevano effettuato raid violenti contro cittadini di colore. Non solo svastiche ed esaltazione al nazismo, al razzismo e all’antisemitismo, tra gli arrestati “un 57enne, addetto alla vigilanza privata, già esponente del Fronte Nazionale e di Casapound, sul cui pc è stato trovato anche materiale pedopornografico” – la Repubblica.
L’indagine guidata dal dirigente Digos Carlo Ambra in coordinazione con la Polizia Postale, è il risultato della “seconda tranche di un’indagine già avviata dalla Digos di Torino nell’inverno 2020” che portò alla denuncia di due militanti dell’area neonazista per la pubblicazione su Facebook di post contenenti “immagini e frasi dal contenuto nazista, razzista e antisemita“, specifica il comunicato della Polizia di Stato. L’analisi dei dispositivi e le perquisizioni della Digos portarono alla scoperta di diverse chat, riporta la Repubblica, “due delle quali nominate ‘Sieg Heil Lukas’ e ‘Semper fidelis’ in cui si scagliavano anche contro partiti e movimenti di sinistra” ed esaltavano i raid punitivi di Macerata e Marsala. Caso ben diverso da quello di Andrea Giuliano che “al Pride di Budapest irrise un gruppo di estrema destra, ricevendo in cambio minacce di morte e una taglia sulla sua testa” – La Stampa del 12 settembre – che la Corte europea dei Diritti Umani (HUDOC) risolse con una sentenza le cui motivazioni aprono a questioni attuali: “la polizia ungherese ha condotto correttamente le indagini, che non sono bastate per identificare i criminali di cui sopra”.
Application n. 45305/16 Andrea GIULIANO against Hungary B. La valutazione della Corte 26. La Corte ha recentemente stabilito i principi generali relativi al presente ricorso nel caso Beizaras e Levickas c. Lituania (n. 41288/15 , §§ 106-16, 14 gennaio 2020). 27. La Corte ritiene che la divulgazione dei dati personali del ricorrente, compreso il suo orientamento sessuale, abbia influito sulla sua vita privata, così come gli abusi e le minacce online e personali diretti contro di lui. L'articolo 8 è pertanto applicabile al caso. Inoltre, poiché i fatti della causa rientrano nell'ambito dell'articolo 8, l'articolo 14 è ugualmente applicabile (si veda Alekseyev c. Russia , n. 4916/07 e altri 2, § 106, 21 ottobre 2010). 28. Il fatto che anche la fotografia del ricorrente e gli indirizzi di casa e di lavoro siano stati resi pubblici, che alcune persone siano apparse sul suo posto di lavoro e che siano state inviate minacce esplicite al suo profilo Facebook ha fatto sì che tali commenti potessero essere considerati una minaccia reale e, come tale, incitamento all'odio, le cui vittime devono essere protette dalla legge penale (vedi Beizaras e Levickas, sopra citata, § 128). Ciò richiede l'adozione di misure efficaci per identificare e perseguire i colpevoli. Tuttavia, in considerazione delle difficoltà insite nel controllo delle società moderne, un obbligo positivo deve essere interpretato in modo tale da non imporre un onere impossibile o sproporzionato alle autorità. (vedi KU v. Finlandia , n. 2872/02 , § 48, CEDU 2008). 29. Nel caso di specie, la Corte osserva che la polizia ha registrato le denunce del ricorrente e che l'ufficio del pubblico ministero ha ordinato un'indagine su diversi reati (si vedano i paragrafi 7 e 10 supra), ma che la protezione penale messa in atto dal codice penale ungherese in definitiva non ha portato a perseguire con successo gli autori. Sebbene le autorità stessero portando avanti il caso in un'indagine durata circa undici mesi in base a varie disposizioni del diritto penale, non è stato possibile scoprire l'identità degli autori. In particolare, le autorità hanno raccolto prove dal ricorrente e da diversi testimoni e hanno analizzato i contenuti Internet contestati. Inoltre, hanno cercato informazioni da Facebook per verificare l'identità degli autori dei commenti in questione, ma le loro richieste sono rimaste senza risposta. 30. Alla luce di quanto sopra, la Corte ritiene che le azioni investigative intraprese dalle autorità nazionali abbiano costituito passi adeguati, anche se infruttuosi, per identificare e punire i responsabili dei reati contestati. Tali autorità hanno avviato un'indagine formale ai sensi delle disposizioni del codice penale in materia di diffamazione, molestie e abuso di dati personali e hanno chiuso l'indagine solo quando non è stato possibile scoprire l'identità degli autori. La Corte accetta pertanto che le autorità ungheresi abbiano adempiuto ai loro obblighi positivi derivanti dall'articolo 8 della Convenzione (confronto e contrasto, Beizaras e Levickas, sopra citata, §§ 18-23, dove le autorità hanno deciso di non avviare affatto un'indagine preliminare). Inoltre, in considerazione di tutto il materiale nel fascicolo, la Corte rileva che il ricorrente non è riuscito a dimostrare la sua affermazione di essere stato discriminato nel godimento dei suoi diritti della Convenzione. 31. Ne consegue che il ricorso è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 (a) e deve essere respinto, ai sensi dell'articolo 35 § 4 della Convenzione. Per questi motivi, la Corte, all'unanimità, Dichiara il ricorso inammissibile. Fatto in inglese e notificato per iscritto il 2 settembre 2021
“L’apologia del nazismo e i continui attacchi antisemiti, i cori razziali nelle curve degli stadi, il pericolo della violenza di matrice suprematista, l’orribile contatore dei femminicidi, gli atti di bullismo contro disabili, le vigliacche discriminazioni contro le comunità gay. Notizie che leggiamo tutti i giorni: crimini legati dal filo rosso dell’odio contro chi è diverso per razza, religione, genere, orientamento sessuale. Episodi che, al di là di numeri e statistiche, sono il segno di passioni malate che non possono essere sottovalutate e che vanno subito arginate” – è l’introduzione firmata da Vittorio Rizzi, Direttore centrale della Polizia criminale e presidente dell’OSCAD, in Quando l’odio diventa reato (PDF), inserto di POLIZIAMODERNA 2020 visionabile dal sito del Ministero dell’Interno, che tratta l’argomento dalla prospettiva degli operatori di sicurezza – “A testimonianza di quanto spesso il concetto sia divisivo, non esiste una definizione giuridica dei crimini d’odio, pur trattandosi di reati fortemente connotati dal pregiudizio per una caratteristica della vittima“, reati che si distinguono per il rischio di escalation e che richiedono una formazione mirata.
L’Osservatorio per la Sicurezza contro gli Atti Discriminatori è un organismo fondato su tre punti, sintetizzati in apertura pagina informativa OSCAD carabinieri.it oppure sull’informativa di poliziadistato.it: interventi mirati sul territorio da parte della Polizia di Stato e dell’Arma dei Carabinieri in seguito alle segnalazioni ricevute; monitoraggio degli atti discriminatori denunciati direttamente alle forze dell’ordine; laboratorio proponente di misure idonee alla prevenzione e al contrasto dei reati di odio. L’OSCAD ha il compito di mantenere “rapporti con le associazioni rappresentative degli interessi lesi dalle varie tipologie di discriminazioni e con le altre istituzioni, pubbliche e private, che si occupano di contrasto alle discriminazioni“, per questo è in stretto contattto con il Dipartimento per Le Pari Opportunità del Consiglio dei Ministri “con il quale è stato siglato, il 7 aprile 2011, un protocollo di intesa finalizzato a definire i contenuti del rapporto di collaborazione tra i due organismi, allo scopo di ottimizzarne i risultati“. Rapporto Eurispes 2020: “esiste un problema di un linguaggio diffuso basato su odio e razzismo. L’allarme arriva dai giovani”.